AUDIODROME INTERVIEW
PIETRO RIPARBELLI – K11
Quattro uscite nel 2010 per Actual Noise, Afe Records, Boring Machines e Old Europa Cafe, un’estetica personale, disorientante e di complessa interpretazione, legata anche ad altre forme espressive, l’interesse della stampa straniera, una sua etichetta attenta all’elettronica sperimentale come alle diramazioni più cupe e avanguardiste del metal estremo: al di là del giudizio soggettivo sul suo lavoro, Pietro Riparbelli era uno degli italiani da intervistare quest’anno se si seguono industrial noise et similia. È stato molto soddisfacente – dato che è sempre più infrequente trovare qualcuno con una visione d’insieme - ricevere risposte così profonde, dettagliate e ricche di spunti interessanti, non solo di natura strettamente musicale.
Pietro, ci racconti se hai mai suonato strumenti o studiato musica? Se sì, come ne è influenzato ciò che fai oggi?
Pietro Riparbelli: Ho studiato e suonato la batteria e le percussioni sin da bambino, in varie formazioni. Sono sempre stato affascinato dallo studio della musica etnica, soprattutto da quella musica che nelle civiltà antiche è connessa a rituali sciamanici e stati di trance. Ho fatto esperienza in vari luoghi di culto come Ashram e monasteri Buddhisti suonando percussioni durante i rituali e devo dire che è stata un’esperienza davvero importante per la mia vita e per il mio lavoro. Sicuramente anche oggi il mio lavoro è influenzato dal mio passato, ma più per quanto riguarda l’esperienza vissuta rispetto alla relazione con gli strumenti che ho suonato e studiato.
Non ho letto la tua tesi di laurea in filosofia, ma dal titolo deduco che parli di un grande nodo come quello della percezione. Con la sigla K11 registri suoni che l’uomo non sente e che però ci sono, il che “filosoficamente” ricorda tante cose. C’è tanta teoria in ciò che fai? O ce la sto mettendo io?
I miei studi filosofici rappresentano il primo passo verso una definitiva messa a fuoco concettuale del mio lavoro. Non riesco bene a distinguere le fasi della mia vita ma sicuramente il lavoro che sto portando avanti oggi non potrebbe esistere se non avessi compiuto quegli studi.
Sicuramente la filosofia ti conduce in dimensioni puramente teoretiche a contatto con l’Essere stesso nel tentativo di trovare un canale espressivo che possa rendere l’Essere percepito. Ad un certo punto ho focalizzato che per me era più naturale utilizzare un altro metodo rispetto alla sola filosofia per rendere percepibile una dimensione; e l’arte ha trasformato i miei pensieri in esperienza. D’altronde la mia tesi sulla fenomenologia della percezione si occupa proprio di cercare un parallelo tra arte e filosofia e specialmente di investigare la dimensione del metafisico che nella filosofia può essere raggiunta col pensiero e che invece nell’arte è raggiungibile attraverso l’esperienza diretta. L’arte apre immediatamente un mondo esperienziale che la filosofia ha bisogno di presupporre.
K11 è un progetto molto vicino alle dinamiche che riguardano la fenomenologia della percezione e, come tu sottolinei, la chiave concettuale del lavoro la possiamo trovare nel rapporto tra visibile ed invisibile sia per quanto riguarda l’utilizzo di segnali radio sia per quanto riguarda l’investigazione su altre dimensioni.
Com’è nata l’idea di usare le onde corte come “argilla” dei tuoi dischi?
Sono sempre stato affascinato dalle onde corte e soprattutto dal fatto che riescano a trasportare informazioni, rifrangendosi nella ionosfera per milioni di chilometri con un minimo sforzo d’amplificazione. Le onde radio poi sono affascinanti perché come dicevamo prima, sono presenti intorno a noi, ci attraversano e non riusciamo a percepirle se non grazie a particolari strumenti. Ciò che mi affascina di questo è la possibilità dell’esistenza di altre dimensioni oltre quella ordinaria che in qualche modo possano essere investigate ma alle quali possiamo dar vita attraverso la poesia.
Poeticamente mi interessa anche la cosiddetta transcomunicazione strumentale, che suppone la possibilità della sovrapposizione alle onde corte di particolari fenomeni come l’EVP (Electronic Voice Phenomenon), ed il cosiddetto fenomeno delle “onde residue”, spesso al di fuori della nostra portata sensoriale e dei nostri mezzi tecnologici. Queste onde potrebbero essere conservate all’interno dei luoghi per molti anni situandosi ad un livello di realtà dove non esiste più spazio né tempo; probabilmente ad un livello quantico. Le “onde residue” possono manifestarsi attraverso particolari fenomeni percepibili soggettivamente o da apparecchiatura specifica.
Altri artisti hanno trattato l’argomento. Carl Michael von Hausswolff, per esempio, del quale ho seguito un workshoop due anni fa a Bologna, e Leif Elggren, un artista che produce con Touch.
Quando iniziai a lavorare con i ricevitori radio rimasi sconvolto dalle possibilità tecniche che potevano offrirmi come artista. I suoni prodotti da un ricevitore radio ad onde corte sono entusiasmanti, paragonabili benissimo a quelli di un synth. Inoltre basta munirsi di un paio di ricevitori, un looper ed un multieffetto per riuscire a creare musica senza l’utilizzo di suoni preregistrati ed in modo site-specific. Le onde radio captate, infatti, sono sempre in relazione con l’ambiente dove queste vengono ricevute e quindi diverse in relazione all’ora ed alle condizioni metereologiche.
Delle volte - mi sembra di più in Sacred Wood – sembra di sentire un synth o una chitarra ultrasatura, ma non è così. Probabilmente non ne so abbastanza: quanto rielabori il materiale raccolto?
Non utilizzo mai sorgenti digitali anche se alle volte per i lavori K11 utilizzo piccoli campionamenti soprattutto di musica classica.
Per quanto riguarda invece i suoni che possono essere percepiti come una chitarra ultrasatura, seguendo la tua definizione, sono realizzati soltanto attraverso l’utilizzo della mia voce che viene effettata con un reverbero-delay ed un distorsore. Di questo mi interessa l’ambiguità: il suono viene associato esteticamente ad un clichè per la sua somiglianza con uno strumento, quando invece ha un’origine completamente diversa.
I tuoi album nascono in siti precisi. Quanto usi le storie e il potenziale simbolico di questi luoghi per influenzare l’ascoltatore? O siamo di fronte esclusivamente a una tua scelta slegata da quello che poi penseranno gli altri?
La scelta di lavorare quasi esclusivamente su luoghi particolari è una caratteristica del mio lavoro. Per prima cosa penso sia interessante “percettivamente” creare in un lavoro la possibilità di aderire ad una dimensione “altra” oltre quella sonora; una dimensione cha va a lavorare sull’immaginazione e che porta l’ascoltatore ad un passo ulteriore oltre l’ascolto, o ad un ascolto “diverso”. Dopodichè mi interessa lavorare sull’ esperienza e sull’idea, perchè ogni lavoro su un luogo specifico richiede un’indagine ed un’esperienza precisa del luogo; esperienza che io definisco trascendentale e che influenza completamente la composizione dell’opera.
Come vedi prediligo sicuramente luoghi particolari cha hanno rilevanza esoterica o storica, ma questo solo per una totale fascinazione nei confronti delle dimensioni liminali e non per un preciso percorso esoterico. Ad esempio Voices From Thelema, prodotto da Aurora Borealis, è un’ indagine eseguita con ricevitori radio ad onde corte nell’abbazia di Aleister Crowley a Cefalù; allo stesso tempo l’ultimo mio lavoro con Touch (4 Churches) è un’ indagine sonora realizzata all’interno di quattro cattedrali tra Italia e Francia. Devo dire che il lavoro sulle cattedrali mi sta prendendo molto ed ho in progetto di realizzare una sorta di archivio sonoro…
Ti associo a generi come industrial, dark ambient e noise, ma mi pare tu segua anche con attenzione gli incroci di questi con il black o il doom metal, dai tempi degli MZ.412 a oggi con i vari Sunn O))) , Nekrasov... Quel tipo di metal è importante per te e per il tuo sound?
Seguo con molta attenzione gli incroci del black-doom in relazione con l’avanguardia. Questo deriva da una mia vecchia passione: quando ero adolescente ho amato il metal e soprattutto il black metal, militando anche come batterista in una formazione che si chiamava Macabre. Sono in contatto con Stephen O’Malley: abbiamo entrambi suonato all’Equinox Festival a Londra lo scorso anno. Penso che la sua ricerca come quella di altri sia molto interessante, soprattutto perché permette di abbattere certi pregiudizi riguardo la sonorità metal che in molti casi trovo potente.
Durante le tue registrazioni sul campo, inevitabilmente intercetti la musica delle radio e qualche traccia di questo passaggio resta nei tuoi dischi, regalando interessanti momenti melodici: accade di frequente e hai tenuto solo le coincidenze migliori oppure accade di rado?
Spesso accade durante le mie registrazioni con ricevitori radio ad onde corte di intercettare frequenze che trasmettono musica o dialoghi. Alle volte faccio campionamenti in tempo reale che successivamente vanno a sovrapporsi ad altri segnali radio. Questo metodo rientra nel concetto di avere un ricevitore radio come unica sorgente sonora disponibile.
Nel giro di poco tempo hai pubblicato per etichette valide come Boring Machines, Afe, Actual Noise, Old Europa Café e Touch. Due domande: come mai quest’impennata creativa? Ti aspettavi un simile interesse?
Sinceramente, questo è un argomento molto presente nelle mie ultime riflessioni. Non mi aspettavo un simile interesse da così tante etichette discografiche eppure mi sono ritrovato quest’anno a produrre molto materiale, gran parte del quale era già in cantiere l’anno precedente. In questo periodo ho rifiutato alcune offerte perché sento la necessità di fare una profonda riflessione sul mio lavoro, anche se sono già in programma altre uscite con label come Cold Spring e Silentes per l’inizio dell’anno prossimo.
Più che di un’impennata creativa parlerei di una vita spesa nel mio studio con le mie macchine, i miei libri ed un silenzio graffiante. Negli ultimi anni vivo in un quasi isolamento riversando tutta la mia energia in un rapporto costante con la natura che aiuta molto la mia composizione.
Da noi – per restare in tema - ci sono etichette come Afe, Old Europa Café, Silentes, Boring Machines, Eibon Records, A Silent Place… Con te su Touch è finito Enrico Coniglio, un altro italiano e oggi trovo tanto “nostro” materiale egregio in campo industrial, ambient e dintorni. Vedo poi una rete di rapporti tra artisti e addetti ai lavori, forse non un pubblico (tanto è vero che hai riscontri su Wire e su Pitchfork, ma qui?). Qual è il tuo punto di vista sulla situazione italiana per quanto riguarda il discorso sonoro che porti avanti tu?
Sono molto soddisfatto di essere riuscito a fare un lavoro con Mike Harding su Touch e sono felice di condividere l’esperienza con Enrico Coniglio, con il quale sono in contatto. Devo dire che questa pubblicazione sta dando una visibilità al mio lavoro che prima non aveva e che nello stesso tempo sta aiutando a dare valore anche ad altri miei lavori che altrimenti potevano essere inseriti esclusivamente in campo dark ambient.
Per quanto riguarda la situazione italiana, devo dire che ho lavorato più a contatto con gallerie d’arte (collaborando con artisti come Nico Vascellari e Massimo Bartolini), che in ambito musicale.
Sinceramente la scena italiana mi sembra da una parte in crescita, con formazioni valide che producono lavori interessanti, ma dall’altra parte molto debole e poco dedita alla sperimentazione. In Italia suonano soltanto i gruppi affermati che spesso provengono dall’estero, oppure la cerchia d’amici che interessa far suonare in certi contesti. Insomma, secondo me non c’è una vera presa di coscienza dell’avanguardia contemporanea e sinceramente per me non è così semplice suonare in Italia. In questo periodo, ad esempio, sto parlando di lavori che forse dovrò fare in Norvegia, Inghilterra, Belgio ma soltanto uno in Italia, il 22 Gennaio a Milano presso l’Inlandempireproject.
Sei decisamente “multimediale” e “multidisciplinare”. Cosa dobbiamo aspettarci da un tuo live?
I miei live dipendono molto dal contesto. Amo lavorare con il multimediale, ma facendo molta attenzione: solo se l’immagine è davvero parte integrante del lavoro. Cerco sempre di creare durante i miei live ambienti percettivi che possano suggerire un percorso possibile al fruitore. Spesso utilizzo il video collaborando anche con altri artisti, come in “He Tries to come to us”, che ho presentato al Cromosfera Festival di Torino lo scorso anno, collaborando con il gruppo Influx. Questo lavoro è concepito su tre schermi ed è una documentazione audio-visiva realizzata con telecamere ad onde radio all’interno dell’ex manicomio di Volterra in Toscana. Un luogo davvero potente, denso di storia, che adesso le amministrazioni locali stanno lasciando crollare. Altre volte invece preferisco costruire scenografie utilizzando solo luci, oppure, spesso, aderisco completamente al punto di vista di Francisco López cercando di valorizzare esclusivamente l’ascolto.
Ti lascio lo spazio finale per parlarci dei tuoi progetti con Radical Matters.
Bene, per me Radical Matters è stato come il punto di partenza verso un nuovo modo di concepire il suono e la musica in generale. Io e Sandro Gronchi siamo come fratelli: abitiamo molto vicini, ci frequentiamo sin da adolescenti ed i nostri progetti sono sempre cresciuti insieme. Abbiamo parlato della nascita di Radical Matters insieme come ogni giorno parliamo del mio lavoro. Sandro è sicuramente la persona che amo di più e che mi ha più aiutato nello sviluppo del mio lavoro. All’interno di Radical Matters sto curando la sezione Metasound che ha il preciso scopo di pubblicare lavori sonori di artisti che sono vicini al mondo dell’arte contemporanea. In questa collana abbiamo prodotto un lavoro di López ed uno di Massimo Bartolini, con un packaging davvero particolare.
L’ultimo lavoro che sto realizzando con Radical Matters è una collaborazione su un concept album che si prefigge il compito di creare un ponte tra due scene culturali ben distinte: l’arte contemporanea e il black metal. Per questo progetto abbiamo richiesto sorgenti sonore a: Massimo Bartolini – Christina Kubisch – Francisco López – Philippe Petit – Seth Cluett – Burial Hex – Francesco Brasini – Luciano Maggiore – L’Acephale – Y.E.R.M.O. - Andrea Marutti – Gianluca Becuzzi - Aderlating – Nordvargr – Utarm – Deadwood. Ho composto le sorgenti sonore ricevute, aggiungendo per ogni traccia un mio personale contributo sonoro. È stato un lavoro avvincente che è in uscita nei prossimi mesi con Cold Spring. Sto inoltre collaborando con Sandro ad un progetto chiamato Telestherion che riguarda principalmente l’ambito dell’arte acusmatica. Troverai più dettagli sul sito di Radical Matters.
A cura di: Fabrizio Garau [fabrizio.garau@audiodrome.it]